Opera Prima

Opera Prima

Opera Prima (Milano, 1983). Nel 1975 mi sono trasferito a Firenze, nel popolare quartiere di Santa Croce, già allora uno dei più vivi, dei più caratteristici della città. Andavo a Firenze con tanti sogni, seguendo i due grandi amori di quel tempo: uno a questo soggetto, ai suoi umori, ai suoi logoramenti; l'altro che immaginavo per sempre insieme a me, come infatti è stato se ancora oggi sono qui a parlarne, a nominarla, ancora con partecipazione e gratitudine: poesia. A Firenze incontrai tutta la poesia allora definita sperimentale: il Verri, il Gruppo 63, Tel Quel, Saussurre, il significante e il significato, La ragazza Carla, Balestrini e Laborintus, ai quali si mescolavano le passioni politiche, allora vive e pulsanti, la fede nel domani, la visione della storia come elemento di promozione, se non riscatto, sociale e civile. Opera Prima, è nato in questo contesto, in quegli umori, in quelle solitarie letture e passeggiate. Nel 1981 raggiunsi un accordo con un editore milanese e nel 1983 vide finalmente la luce il mio irripetibile sogno.
Nel 2014 il libro è stato riproposto in edizione digitale, da Narcissus.me, e in questa veste si trova in vendita presso le maggiori librerie online.
 Opera Prima, di Arturo Lini, ISBN 9788868854133

Apostrofando monologhi
Apostrofando monologhi cammino

                                           dove
mi sento così perdente come il verde l'aria il pipistrello
                  (anche tu ombra così imperfetta!)
immaginando gli amici salutarmi "salve parassita!"
"da quanto tempo non dipingi macchie della coscienza?"
                                    (cammino)
nel giorno
nella città
verso il quartiere dove è scritto
                        RIVOLUZIONE e SANTITA'
immaginando
la nostra auto perduta
nella città assolata.
Inseguendo i rari passanti
" la città è perduta ! " ci risponderanno.

Distrazioni.
Ovunque dei passi.
Altre linee.
Un gesto chiude i ponti assolati.
E la qualità dello spettacolo procede
nel frusciare (più lento) della pellicola.


I ragazzi hanno urlato alla notte
I ragazzi hanno urlato alla notte
le nostre parole, le stesse parole
"Solo il domani canteremo
ciò che è stato ora va!"
Poi
più niente. Minuscoli cerchi.

Dalla strada il silenzio s'appanna
come freddo alla finestra.
Due mosche s'inseguono
Su e giù. Ciclisti senza posa
ripetono qualcosa...

Lei così, volando,
sul mio naso si poserà
come al centro di un riflettore
e cominciando una logora sequenza
di un qualche futuro racconterà
con la voce
di una stanca bambina.

E da un qualche angolo della stanza
m'apparirò. Stucchevoli frasi
mi stringeranno
come un cappello troppo piccolo
alla testa
"quella vena che ti donai
si è esaurita?"
"la sedia che orgoglioso mostravi
appartiene ancora al legno che la nutrì?"

Poi - per questo tormento sul naso -
sull'ora già tarda
il viso poserò,
e dalla falla un sogno scivolerà
dove m'apparterrò
in un silenzioso riposo.


Dal vuoto del ponte della ferrovia
Dal vuoto del ponte della ferrovia
sbucò
al treno in corsa
il bianco del pendio.
Come finisse il cielo dietro, e vuoto
intorno agli astronauti.
Come luce o pulce o bandiere rosse
al Magistero.

Mio amore rigogliosa terra,
io vorrei che questo vento questo canto
posasse sui tuoi capelli
la spilla il grano.
L'alba difficile rosa.


Bianca città
Bianca città, di fronte al cielo
il tuo pallore è
un sonno,
un cosmo bianco
in mezze maniche

e

- nel flusso dei watt -
ripeto il mio nome,
per accendere un io
tra le tue strade.

 

 

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