Nicola Micieli

Nicola Micieli

PITTURA COME IMMAGINE E PAROLA di Nicola Micieli. In Alfabetismo, catalogo della mostra al Chiostro di S. Francesco, Sarzana, Bandecchi & Vivaldi editori, Pontedera (PI), 2000.

Un'escursione nella storia dell'arte del ventesimo secolo, sulle tracce di contatti, interazioni, integrazioni tra parola e immagine, tra l'espressione verbale e quella iconica non solo della comunicazione ma del pensiero, toccherebbe buona parte dei movimenti e delle tendenze d'avanguardia storica e neo, non dandosi aspetto della ricerca artistica che non abbia in qual che modo e sotto varia specie subito - utilmente, per incremento delle possibilità d'uso creativo dei codici della comunicazione - l'incursione della parola.
Il cui specifico ambito espressivo, la letteratura, è stato del resto oggetto di analoghe invasioni di campo, nella contiguità di esperienze e pratiche linguistiche già use a procedere parallelamente, al più incontrandosi con intenzione didascalica, prima e dopo la rivoluzione gutenberghiana, nel libro illustrato (ma quante assunzioni grafiche e calligrafiche della parola non compaiono nella storia dell'arte occidentale di tutti i tempi, segnatamente medievale?).

Con il nuovo secolo parola e immagine diffusamente convergono e si attraversano, uscendone trasformate nel loro statuto formale oltre che nelle loro funzioni linguistiche. Basti pensare ai congiungimenti o sponsali costituiti, nel primo Novecento, dalle squisitezze formaliste della scrittura figurata di memoria alessandrina, nella versione moderna dei calligrammi di Apollinaire, alle applicazioni d'uso grafico e tipografico del parolìberìsmo futurista e del letterìng costruttivista, esperienze nelle quali la parola diviene morfema di grande versatilità strut turale oltre che luogo significante in termini anche evocativi.

Ricorderei inoltre la ripresa delle avanguardie internazionali allo snodo cruciale degli anni Sessanta, caratterizzati dal raffreddamento della ricerca artistica dopo l'ondata action painting e informale, con il recupero minimalista, optical, neoconcretista della cosiddetta linea analitica dell'arte moderna e la progressiva riduzione concettuale dell'atto creativo, una fase che nella logica dell'interscambio parola/immagine dette luogo al movimento internazionale Fluxus, uno dei cui rappresentanti, Giuseppe Chiari, è qui documentato, e a una fioritura del verbo logo-iconico di grande interesse non solo estetico, ma critico e ideologico oltre che peculiarmente linguistico: dal Lettrismo alla Nuova Scrittura alla Poesia Concreta alla Poesia Tecnologica e alla Poesia Visiva, quest'ultima ufficializzata nel 1963 con la creazione del Gruppo 70 i cui padri, Eugenio Miccini e Lamberto Pignotti, compaiono qui con un altro significativo esponente, Luciano Ori.

Vorrei inoltre almeno accennare al lettering e alla grafoscrittura della Pop Art nel contesto dello sconfinato settore dei fumetti e del cinema d'animazione, e alla variegata costellazione dei linguaggi segnaletici, qui rappresentati da uno degli antesignani, Gianni Bertini, che tra il '48 e il '49 realizzò il ciclo dei "Gridi" e ha in seguito sempre operato l'ibridazione logo-iconica nel segno della Mec Art e oltre.

Sono solo alcuni esempi, questi, tra i molti che potrebbero farsi nel corso del secolo. A cominciare dalle carte stampigliate incluse a collage o dalle lettere e parole dipinte dai Cubisti, per giungere, attraverso il già citato movimento Fluxus che ha praticato in modo sistematico l'ibridazione dei codici all'interno dell'ormai dominante civiltà massmediatica, alle numerose esperienze d'arte tecnologica dischiuse con l'uso dei media elettronici. I quali infine hanno abbattuto ogni barriera tra i linguaggi, per cui è divenuta normale la pratica, un tempo trasgressiva, dello sconfinamento e della contaminazione dei codici in cui consiste la vera soluzione di continuità, la linea rossa della ricerca artistica del nostro secolo, senza dubbio incentrata sul problema del linguaggio estetico come sfera di autonomia espressiva, resa libera dalla definitiva specializzazione del linguaggio scientifico e dalla sua separazione dal sistema globale della comunicazione.

La presente rassegna, Alfabetismo, non pretende certo di documentare la fenomenologia dell'integrazione parola/immagine nell'arte contemporanea, impresa che sarebbe ciclopica per chiunque. Molto modestamente essa raccoglie alcuni momenti o esperienze che vorrei dire esemplari, rimanendo nello stretto ambito delle arti visive (pittura e scrittura) non elettroniche, e in qualche modo da definirsi tradizionali, nel senso delle moderne declinazioni del linguaggio figurativo. Alcuni artisti, cui abbiamo accennato, sono oggi da considerarsi protagonisti storicizzati dell'arte italiana del nostro secolo, decisivi proprio in rapporto alla tematica qui introdotta. Altri, egualmente importanti, hanno caratterizzato in chiave logo-iconica la loro ricerca o esplicitamente incentrandola sulla morfologia visiva dei segni alfabetici, e delle relative combinazioni in partiture di squisito gusto decorativo, come Alighiero Boetti, o inserendola nel contesto pittorico con funzione segnaletica e di commento critico, che è il caso del maestro fiorentino Vinicio Berti recentemente scomparso.

In una chiave simbolica e vorrei dire esoterica entrano parole e lettere o monogrammi nelle icone di Bruno Ceccobelli, la cui lettura comporta sempre un certo grado di iniziazione, e in quelle del giovane Guerrino Pain il quale si muove nella sfera evocativa del sacro. Come citazione di un movimento storico, il Cubofuturismo, introduce e risolve poeticamente la parola Arturo Lini, che è uso citare anche veri e propri passi lirici. Una declinazione di Poesia Visiva è quella di Mauro Pispoli che interviene sulla tematica del grande "blob" telematico propinateci quotidianamente. Emilio Pian lavora sulla continuità grafica della scrittura extrasemantica mentre Riccardo Licata e Gianna Scoino accentuano il carattere squisitamente decorativo del segno, in chiave di pseudoscrittura, il primo in forma pressoché ideogrammatica, distribuendo su registri sovrapposti i monogrammi, la seconda componendo veri e propri patterns che fanno da sfondo a cifre grafiche profilate nel nero.

Due esperienze antipolari, quanto a linguaggio pittorico, ma accomunate dalla circostanza di raffigurare pietre o ciotoli di fiume quali supporti della scrittura, sono quelle di Piero Colombani e di Velda Ponti, il primo uso a incidervi una frase o un motto quale legenda o epigrafe dell'immagine dipinta nei modi della Nuova Maniera, la seconda rivestendola di uno strato di pigmento rilevato a seguire l'andamento della scrittura. Infine due artisti stranieri, Hannes Hofstetter e Ahmad Jaddouh sono qui presenti a testimoniare l'uso della scrittura/pittura/segno/decorazione in altre culture. Il tedesco Hofstetter lo fa realizzando veri e propri palinsesti che recano documenti dei diversi codici scritturali del mondo antico e delle grandi aree di civiltà; il siriano Jaddouh interrogando le "Calligrafie" del mondo con lo spinto della sua cultura d'origine nella quale la scrittura è parola rivelata, e dunque immagine di Dio.
Nicola Micieli