Mirella Bentivoglio

Mirella Bentivoglio

Mirella Bentivoglio, ASCOLTARE L'IMMAGINE, l'esperienza del suono negli artisti della visualità. Catalogo alla mostra, Palazzo Mediceo, Seravezza (LU), tip. Alsaba, Siena, 1996.

Non è questa una mostra che documenti un particolare momento delle arti visive; è invece un'esplorazione critica che attraversa perpendicolarmente la produzione differenziatissima di oltre cinquanta artisti della visualità, per rilevarvi l'impegno a stabilire un rapporto tra la sfera dell'immagine e quella del suono. Un rapporto che in molte di queste opere viene fondato sulla negazione: ma l'ascolto del silenzio non è altro che un'approfondita attenzione alle vibrazioni dell'esistente, e non è detto che l'aggettivo "musicale" debba soltanto riferirsi al campo frequenziale dei suoni percepibili dall'orecchio.

Un'analisi storica degli sforzi della pittura a evocare il suono richiederebbe troppo spazio. Senza elencare i vari tentativi parascientifici del passato, basti ricordare che molti di quegli artisti che nei secoli scorsi hanno fondato le loro composizioni pittoriche su una scansione ritmica del visibile, hanno alluso più di una volta alla musica, come per indicare una parentela tra stile e tema. Le Lezioni di musica di Vermeer, tanto per fare un esempio. E per venire più vicini nel tempo, vediamo che con le stesse motivazioni inconsce o intenzionali, artisti d'impianto cubista o cubofuturista hanno inserito nel contesto pittorico chiari segnali, come fogli di spartito o nomi di compositori.
Non è un caso che la pittura di tutti i secoli abbia insistentemente raffigurato strumenti musicali, consegnandoli anche, pretestualmente, agli angeli.
Lo strumento musicale e il libro hanno in comune questa ascendenza privilegiata: il crisma religioso. I santi che reggevano il libro aperto, porgendolo verso l'esterno senza leggerlo, non avevano in realtà altra funzione che quella di veri e propri leggii; in quel caso, come nel caso degli angeli musicanti, segno sacro era in realtà il mezzo di comunicazione tra uomini, e la sua messa in scena aveva il compito di ritualizzarlo. Tornerà spesso, nelle presenti note, questo rapporto di analogia tra libro e strumento musicale; oltre tutto, il repertorio dei mezzi dell'esecuzione musicale comprende anche un libro: lo spartito.

È stato questo nostro ventesimo secolo ad avvicinarsi articolatamente al traguardo suono-immagine, favorito anche dall'avvento dell'astrattismo. È vero che vi furono tentativi molto antichi di suonare l'immagine e di ascoltare il colore, ma è soprattutto in seno alle avanguardie dei primi decenni del '900 che l'integrazione ha cominciato a costruirsi su basi solide.
Impossibile ricordare in poche righe tutti i tentativi di gettare ponti tra sonoro e visivo, ogni volta fondati su principi diversi; e non alludiamo alle teorizzazioni, come quelle di Kandinsky, bensì a esperimenti concreti. ll piano optofonico di Baranoff-Rossigné, la Sincromofonia di Gnata, le traduzioni fono-cromatiche di Veronesi (regolate sulle equivalenze, a livello proporzionale, dei valori delle lunghezze d'onda nei colori e nei suoni), il Quadrato Magico di Chiari, i contrappunti cromatico-tessili di Randi Hansen. A proposito di questa artista ricorderemo che in secoli passati un flautista, in Oriente, guidava i tessitori di tappeti; ogni nota corrispondeva a un colore dei fili di lana; essi dunque tessevano quel canto.

Troviamo anche riversamenti da sonoro a visivo fondati su un codice personale, stabilito unicamente dalla coerenza della sensibilità; come è il caso di Giustina Prestento, nelle cui architetture grafiche i musicisti riconoscono il brano musicale prescelto per l'operazione di ribaltamento, dalla sfera acustica a quella visivo-gestuale.
Per questi vari tipi di trasposizioni - alcune ingegnosissime - che abbracciano un arco di tempo tra il '18 e l'80, non ho che da rimandare al materiale documentativo in mostra. Sono testi storici talvolta ardui, che implicano nozioni di matematica e fisica. Rimando anche alle schede pubblicate in calce a questo catalogo; esse riassuntivamente accennano, non solo alla formazione di ogni artista e ai principali riconoscimenti ottenuti, ma al tipo di rapporto da ognuno stabilito col mondo del suono.

Questa mostra raccoglie solo artisti di questo secolo e solo artisti della visualità. Pittori, scultori, poeti visivi, performer, operatori massmediali (Chiari è anche musicista, ma le sue apparizioni pubbliche avvengono soprattutto nei contesti espositivi dei fatti visivi). Si sarebbe voluto allargare il discorso ai musicisti che tentano di forzare i loro confini disciplinari per raggiungere i territori espressivi dell'immagine, in genere a livello grafico. Ma ragioni di spazio hanno obbligato a una scelta, e le necessità di una verifica ci sono parse impellenti soprattutto per gli artisti della sfera visiva.

Tra i precursori che vorremmo indicare per i loro esempi di un impiego pittorico dell'iconografia musicale, sono presenti nella mostra Bice Lazzari e Ben Shahn. Un'astrattista - la prima - che si astenne dallo studio della musica, appena iniziato nell'adolescenza, portandone poi le valenze temporali-ritmiche sul foglio e sulla tela. E non importa sapere se l'uso del pentagramma - chiaramente leggibile in un suo disegno qui riprodotto, quasi una dichiarazione di poetica - fosse intenzionale.
Quanto a Ben Shahn, il segno musicale ritorna in decine di suoi fogli e pagine, e sembra incanalare in senso narrativo la segreta attrazione di questo artista per i valori costruttivi dell'astrattismo, come nella celebre immagine dell'orchestra vuota, in cui le filiformi cadenze incrociate delle sedie abbandonate producono "musica".

Fu quell'esempio, forse, uno degli stimoli che assai più tardi portarono Fellini al suo film Prova d'orchestra. E Fellini a sua volta tracciò su carta pentagrammata uno degli schizzi preparatori del film; una scorciatoia semiologica decisamente inconsueta per un regista.
È qui ampiamente rappresentata quella categoria di artisti che imperniano la propria ricerca sulla scrittura "paramusicale". Lontani dalla realtà fenomenologica di un ascolto, immaginano suoni pre-verbali, pre-canori, subsuoni, e ne fissano l'essenza mescolando codici. È un uso allusivo, evocativo, libero, delle convenzioni della scrittura musicale. E mentre i "riversamenti" indicati all'inizio del presente testo partono dal sonoro per approdare al visivo, queste operazioni ibride approdano al visivo partendo dalle convenzioni strettamente grafiche del sonoro; si muovono perciò in un'area linguistica.

Sono in genere pseudospartiti non convertibili in suono, così come le scritture asemantiche sono calligrafie non convertibili in parole. Tra gli artisti della visualità centralmente impegnati in questo territorio senza nome (e in una storia dell'arte che vive di ismi, è questa una lacuna a cui la critica dovrebbe porre riparo) troviamo le finissime finzioni musicali di Anna Torelli, Betty Danon, Claude Mélin, Janina Kraupe. Accanto a loro, praticano sporadicamente le stesse tecniche alcuni pittori del segno verbale.

Annalies Klophaus trasforma la parola stessa in elemento musicale; Creta Schödl, in un frantumato ricordo di codici miniati, cosparge di note auree le parole pentagrammate; Ugolino da Belluno, mosaicista e affreschista iconoclasta, riveste absidi con le note del canto gregoriano.
Anche la fotografia ha adottato i segni della sonorità. Per Ciuman sono le ombre dei musicanti, per Anna Esposito gli schienali delle sedie del concerto all'aperto simili ai pentagrammi, Andolcetti nei suoi collage mescola pentagrammi e fotografia, Cané nei suoi montaggi opera cortocircuiti tra tecnologia e natura.

È frequente tra gli operatori verbovisuali l'uso del codice musicale mescolato a segni alfabetici, ma qui sono esemplificati solo quei poeti della visualità che anticipatamente, o con maggiore frequenza e autorità, sono ricorsi all'iconografia del suono. Luciano Ori svolge un ruolo centrale in questo settore, come Giovanni Fontana tra i poeti-performer. Troviamo il segno musicale nei concretisti più antichi, tra i quali Solt e Augusto De Campos. La matrice futurista di questi labirintici giochi è presente nella Poesia pentagrammata di Francesco Cangiullo, del '23, e nel piccolo spartito muto di Arturo Martini, Contemplazioni, composto nel suo grande momento sperimentale, il '18.
Andando verso l'oggetto, troviamo i trasparenti plexiglas di Marzia Corteggiani, gli assemblage poetici di Elisabetta Gut, i suoi pistilli-note e i suoi strumenti vegetali. Chiara Diamantini rivisita nelle pagine della Recherche proustiana una personificazione del silenzio (Vinteuil, compositore inesistente); Anton Roca incrocia la Cavalcata delle Valchirie sul suono della macchina da cucire e compone come musica le scosse di un treno.

Le tecniche e i supporti degli artisti intesi a visualizzare il suono sono i più vari. Inchiostri (Frare), letraset e collage (De Bernardi) o le superfici venate dei miei spartiti di pietra che hanno seguito nel tempo i miei strumenti-note; o addirittura uno schermo (Marco Cardini) su cui il gesto guidato dal suono evoca a distanza il colore. Vige da alcuni anni l'usanza di dare un sottofondo musicale alle esposizioni d'arte, ma la sonorizzazione ha in genere un rapporto vagamente analogico, non interattivo e non innovativo, con le immagini a cui si accompagna. Sono qui inclusi due soli esempi di risultati interdisciplinari: Sara Campesan e Lucia di Luciano, che hanno strettamente collaborato con i compositori, e i cui lavori palesano all'origine l'idoneità all'acquisizione di un complemento musicale. Registrato in cassette, esso sarà udibile a richiesta.
La mostra non sarà sonorizzata. ll suono è la realtà alla quale si rifanno i visualizzatori, e non si può mescolare una realtà alla sua interpretazione. Ma il suono sarà presente, o potenziale, negli strumenti che lo prevedono. Suoni tenui, come per le magiche pietre di Szombati, etnologiche quanto disponibili, con i loro occulti sensori, all'ausilio della tecnologia.

O suoni secchi e sordi come dal gong di pietra (Datti) pendente da un portale che sembra guidare dentro la dimensione della mistica acustica.
Vi sono anche strumenti senza voce (Aversa, Colombara, Cut, Manfredi); sono pseudostrumenti, così come le strutture paramusicali sono pseudoscritture. O abbiamo sculture suonanti, strumenti nella funzione e non nell'aspetto (Michelangelo Conte): per le ragioni della creatività, uno dei due termini ha dovuto cadere.
Mirella Bentivoglio