Lamberto Pignotti

Lamberto Pignotti

POESIA TECNOLOGICA, POESIA VISIVA, "GRUPPO 70", di Lamberto Pignotti, in Poesia Visiva, voci e anticorpi di una collezione privata. Cat. della mostra a cura di Nicola Micieli, Villa Pacchiani, S. Croce sull'Arno (PI), 1999.

Poesia tecnologica, poesia visiva, Gruppo 70: ecco intanto date e luoghi ufficiali di nascita. La poesia tecnologica nasce con un saggio di Lamberto Pignotti avente proprio questo titolo sulla rivista Questo e altro, n. 2, 1962, Milano. Il Gruppo 70 esordisce con un convegno interdisciplinare d'arte d'avanguardia al Forte Belvedere di Firenze nel 1963. Poco dopo, sempre nel 1963, vengono esposte alla Galleria Quadrante di Firenze, nell'ambito di una mostra multimediale dal titolo Tecnologica, le prime forme di poesia visiva di Eugenio Miccini e Lamberto Pignotti. Questi scarni ma ufficiali dati andranno certamente rimpolpati con le notizie e gli approfondimenti di cui abbisognano. Sono i protagonisti che li devono dare, però questi, come è noto, tendono a ripercorrere simili dati con l'occhio della mitologia e del protagonismo.
Forse, per legge di natura, non farò eccezione, ma vorrei cercare almeno di attenuare un tale andazzo. Non è per nobiltà d'animo, ma per un omaggio a una tecnica che mi è congeniale e che, guarda caso, è andata percorrendo e alimentando un po' tutta quella linea che unisce appunto la poesia tecnologica, quella visiva e il Gruppo 70.

Amerei insomma che queste note tendessero a rievocare una storia non come frutto di una mia odierna narrazione, magari fantastica e fantasiosa, ma come succinto assemblaggio di documenti scritti e stampati sui giornali, riviste o cataloghi difficilmente reperibili. Dunque: sul numero 2 della rivista Questo e altro, rivista pubblicata ufficialmente da Lampugnani ma sostenuta da Mondadori con la regia di Vittorio Sereni (che andava importando le collane mondadoriane allora più avanzate) avevo pubblicato appunto un lungo saggio intitolato La poesia tecnologica.
Avevo sostenuto, riferendomi alla teoria dell'informazione, sottovalutata o sconosciuta alla cultura artistico-letteraria del tempo, che "un messaggio raggiunge la sua massima efficacia tramite un segnale che per la sua novità, inaspettatezza e imprevedibilità procura il massimo di sorpresa".
Così proseguivo, "Al progressivo ripetersi del segnale l'efficacia della reazione e il conseguente grado informativo tendono a zero. A un'efficiente informazione si ritornerà solo modificando o cambiando il segnale. I fattori linguistici in via di estinzione non lasciano dunque dei vuoti ma stimolano per reazione un continuo processo rigenerativo, e per quanto più precisamente concerne il linguaggio poetico - come ogni linguaggio specializzato o tecnico costruito su altri linguaggi – esso si rigenera attingendo al mondo circostante e ai moduli e termini dei linguaggi che lo esprimono con maggiore aderenza e funzionalità.
Tali linguaggi sono in definitiva oggi quelli che globalmente si possono definire tecnologici, come quello giornalistico, logico-matematico, sportivo, scientifico, umoristico, telegrafico, burocratico commerciale, pubblicitario, e via dicendo.”

L'idea di una poesia che potesse attingere ai linguaggi tecnologici, alle espressioni di massa, ai messaggeri della civiltà dei consumi, si prestò allora non tanto alla critica obiettiva, ma piuttosto all'ironia. Ironico e canzonatorio fu ad esempio fin dal titolo, La catena di montaggio per i poeti, l'articolo dedicato a questo saggio da Gianni Toti su Il paese del 4 gennaio 1963. "Il tecnologo della coscienza umana", si poteva tra l'altro leggere, "non scherza affatto, purtroppo, e prosegue come una macchina implacabile, misurando e catalogando. Siamo in pieno dentro la “civiltà dei consumi”, è noto ormai a tutti - persino la televisione usa questi termini - e poiché “tutto si fabbrica e tutto si consuma”, come è fede positiva dei credenti nella 'società affluente del benessere e del miracolo', anche la poesia entra nell'ingranaggio, sulla catena di montaggio scivolano le liriche illuminazioni e le creazioni umane e, pezzo per pezzo, rima per rima, immagine per immagine, verso per verso, si avviano verso il prodotto finale e il consumo".

Sulla stessa linea si poneva Il Corriere della Sera (21 marzo 1964) con un articolo di Alfredo Todisco intitolato Poesia fatta a macchina e ispirazione a transistor. Eccone uno stralcio: "Uno dei termini più pittoreschi che gli operatori poetici hanno importato dal gergo tecnico è 'assemblaggio'. Con l'assemblaggio poetico, i singoli pezzi del discorso si montano come un meccanismo in serie. La compenetrazione di quella che una volta si chiamava arte poetica e del linguaggio tecnologico avviene in modo particolare attraverso l'anello della pubblicità. L'espressione, la comunicazione del linguaggio pubblicitario, si trova che rientrano nelle stesse leggi dell'attività artistica in generale. Esiste una corrente poetica che si propone di utilizzare sistematicamente slogan e definizioni tecnico-scientifiche a uso propagandistico, tipo 'ditelo coi fiori', le cui fratture e scorciatoie sintattiche si trova che contengano suggerimenti preziosi, e che abbiano la stessa densità e conformazione cellulare del verso e sian persino riallacciabili, alla lontana, alla tradizione del Dolce stil novo...".

A siffatta reazione critica che si colloca in genere tra l'irrisione e la stroncatura si contrappone tempestivamente Gillo Dorfles accogliendo tra i Nuovi riti, nuovi miti, titolo di un suo famoso volume di saggi (Einaudi, 1965), sia la poesia tecnologica a cui dedica uno specifico paragrafo, sia la poesia visiva di cui riproduce un'opera del sottoscritto.
Afferma Dorfles: "Nel caso della poesia moderna, come ha fatto osservare di recente Lamberto Pignotti, l'ingerenza, anzi la volontaria immissione di elementi linguistici assunti dal linguaggio tecnologico e pubblicitario, è un dato di fatto ormai constatato e di sicura efficacia. Non ci vuole molto ad avvedersene: basta alle volte prender in mano le pagine di un giornale illustrato, la pubblicità di un nuovo medicinale o di una nuova macchina da corsa, per riconoscere una pregnanza davvero inconsueta, e del tutto diversa da quello che ancora pochi anni or sono era l'appannaggio di tali settori 'letterari'.
Tutto questo ci porta a chiederci se effettivamente sarà prevedibile la possibilità, oltre che d'una creazione, anche d'una fruizione di cosiffatta 'nuova poesia' anche a un livello di massa. Alcuni lo ritengono possibile (come Pignotti) e ne postulano addirittura l'adozione sotto forma di trasmissioni attraverso altoparlanti o dizioni registrate come 'intermezzi' a manifestazioni sportive o ad altre manifestazioni pubbliche".

Per inciso: la possibilità da me avanzata di veicolare e contrabbandare un tale genere di poesia, già potenzialmente "di massa" per via dei linguaggi da essa impiegati, in luoghi e prodotti "di massa" come gli stadi e le autostrade, o anche sulle scatole dei fiammiferi, aveva stimolato Umberto Eco a stendere un brillante articolo per L'Espresso (6 febbraio 1966), cui subito avevo ribattuto con un altro scritto apparso su Paese Sera, e raccolto successivamente nel mio libro Istruzioni per l'uso degli ultimi modelli di poesia (Lerici, Roma, 1968).
I collages tratti dai linguaggi tecnologici dei mass media (pubblicità, moda, sport, pagine di giornali e rotocalchi, ecc.) tendono progressivamente ad associare alla parola (strumento tradizionale dello scrittore) l'immagine (mezzo connesso alle arti visive). Ci si rende conto che la poesia non può prescindere dall'uso di un "neo-volgare" ormai ampiamente circolante: i messaggi verbali e quelli visivi si stanno vistosamente fondendo realizzando di fatto generi di comunicazione inusuali. È così che la "poesia tecnologica" si precisa come "poesia visiva".

La poesia visiva si presenta ufficialmente, come qui già anticipato, nel contesto della mostra Tecnologica, allestita nel 1963 alla galleria Quadrante di Firenze. All'insegna dei rapporti fra le arti e i linguaggi multimediali dei mass media, esponevano in quella sede tre pittori (Antonio Bueno, Silvio Loffredo e Alberto Moretti), due musicisti con i loro inusuali spartiti visivi (Sylvano Bussotti e Giuseppe Chiari) e due poeti (Eugenio Miccini e Lamberto Pignotti).
II catalogo illustrato della mostra conteneva le specifiche ragioni di poetica inter-artistica in chiave tecnologica enunciate dal sottoscritto, da Bueno e da Chiari. Scriveva quest'ultimo, fra l'altro: "Si noti ed è indispensabile per precisare il significato del lavoro di Miccini e Pignotti, il materiale adoperato. Materiale estratto da ogni tipo di linguaggio, parole della scienza, della cronaca, della conversazione comune, parole spostate dal loro contesto, è ovvio, ma delle quali, mai, i due poeti cancellano il semplice senso originario. Diremmo che queste parole vengono conservate nelle loro quotidianità".

Con la mostra Tecnologica si ha per la prima volta la consapevolezza che la poesia può cambiare il suo veicolo di comunicazione, dalla pagina scritta alla parete della galleria d'arte, e oltre.
Insomma anche la poesia può diventare un oggetto visivo, un qualcosa da appendere al muro e al limite da esibire su un cartellone. È innegabile che un libro si può sempre chiudere, mentre un quadro o un manifesto ostentano maggiormente la propria presenza. In quei primi anni Sessanta comincia a serpeggiare una certa inquietudine per il superamento di diverse barriere.
Mentre su un piano non è escluso che saltino i confini tra arte e mass media e che la poesia tecnologica e visiva possano essere destinate, almeno potenzialmente, alla diffusione di massa, su un altro piano, quello del mercato, si intravede una possibile concorrenza fra poeti e pittori.

Ne accennavo nell'introduzione alla prima antologia di Poesie visive pubblicata in quattro volumetti a Bologna dall'editore Sampietro nel 1965 (gli autori allora raccolti, o meglio "scovati", erano: Nanni Balestrini, Achille Bonito Oliva, Danilo Giorgi, Alfredo Giuliani, Emilio Isgrò, Luca (Luigi Castellano), Lucia Marcucci, Steliomaria Martini, Eugenio Miccini, Luciano Ori, Lamberto Pignotti, Antonio Porta, Adriano Spatola, Luigi Tola e Guido Ziveri). A proposito di quelle prime, timide, avvisaglie mercantili scrivevo in quella introduzione "La poesia visiva oltre che d'avanguardia sta diventando di moda ed è già anzi un po' snob. Qui s'imporrebbero una faccia e una penna un tantino ipocrite e visibilmente contrariate dalla faccenda. A che proposito? La tecnica del cavallo di Troia e della pillola indorata è stata per l'occasione volutamente perfezionata dal poeta: se lo comprino e se lo portino pure a casa questo sofisticato gioiello i cari benpensanti! Prima o poi verrà il momento dell'esplosione fra le domestiche pareti, e sarà un'esplosione non soltanto rumorosamente formale ma anche concretamente ideologica".

La poesia visiva appare subito, nelle concezioni teoriche di libri e di riviste quali Dopotutto (redatta da Miccini e Pignotti all'interno della rivista Letteratura), Linea Sud, Civiltà delle macchine, Nuova presenza, Il portico, Lineastruttura, come una forma di espressione atta a sperimentare a vari livelli dei rapporti fra parole e immagini, perseguendo finalità e fondendo risultati in un contesto unico. Almeno da un punto di vista teorico essa rappresenta un'estensione delle possibilità della poesia, che istituzionalmente si affida solo al materiale verbale, poiché si pone anche dei problemi che fino a quel momento sono stati affrontati dalle arti visive e specialmente dalla pittura. Tuttavia la poesia visiva esclude subito di risultare una pittura con le parole o una poesia con le figure. La poesia visiva di quegli anni Sessanta è un fenomeno che nella società tecnologica e nella civiltà dell'immagine, che allora si svelano e alimentano dibattiti, appare a prima vista quasi familiare.
Eppure ironizza, contesta, critica e tende a capovolgere gli aspetti più negativi propri della società tecnologica e della civiltà dell'immagine. Si può dire in un certo senso che la poesia visiva in simile contesto raffigura proprio la migliore ritorsione contro l'abuso delle immagini; una ritorsione per di più operata nel rispetto della legge del contrappasso: quel che è fatto è reso. La poesia visiva, si disse argutamente, rappresenta in ultima analisi una merce respinta al mittente.

"La poesia visiva può anche considerarsi una tecnica da persuasori occulti, come è stato detto?", si chiedeva Eugenio Miccini sul n. 7, 1966, della rivista Il portico. E rispondeva: "La cosa non ci dispiace, se appena teniamo presente che essa non persuade nessuno a consumare formaggini, non induce in persuasioni di tipo irrazionale o inconscio che siano dirottate verso un consumo di generi alimentari, bensì verso un consumo di cultura, per dirla brevemente. Niente più e niente meno che una funzione anche educativa e acculturante, che vuole riconciliare il pubblico con la poesia, sia pure attraverso un trauma iniziale, cioè attraverso un sincero conflitto con quanto una tradizione ormai esausta aveva indicato come categoria poetica perenne. Non esito a ripetere che la poesia visiva è la poesia democratica ...".

L'intento di una poesia visiva così concepita, volta ad invertire il processo alienante dei mass media in senso ideologico, democratico e addirittura politico, indusse più d'uno ad accusarla di riprendere i modi dell'engagement. Adriano Spatola, tra gli altri, che già aveva avviato una simile critica su Quindici, la riprende nel suo volume di saggi Verso la poesia totale, pubblicato per la prima volta da Rumma nel 1967 e ristampato da Paravia nel 1978. "E nella poesia visiva", scrive Spatola, "che il discorso politico trova la possibilità di attuarsi, mediante la manipolazione critica delle immagini alienanti che costituiscono il leit-motiv della civiltà dei consumi.
In Italia, è stato soprattutto il Gruppo 70 a portare avanti questo discorso, correndo tuttavia spesso il rischio di ricadere in quell'engagement di vecchio tipo che abbiamo già abbastanza criticato. Bisogna del resto ammettere che questo è un rischio difficilmente eliminabile, perché la poesia visiva del Gruppo 70 tende a capovolgere di segno i messaggi delle comunicazioni di massa e a contestare quindi un fenomeno che presuppone e alimenta la passività di chi riceve l'informazione, e in questa operazione è facile e a volte necessario ricalcare gli schemi sotto-estetici del kitsch, sia pure per negarli.
Secondo Filiberto Menna, infatti, 'la poesia visiva nasce dall'intento del poeta di non sottrarsi allo scontro con il mondo esterno ma, al contrario, di operare all'interno della stessa cultura di massa tentando una promozione estetica del banale, del quotidiano e del Kitsch'. A questo proposito Pignotti parla esplicitamente di 'contropubblicità', di 'controrotocalco', di 'controfumetto' definendo la poesia visiva come 'il gesto di chi rispedisce la merce al mittente"'.

Che Adriano Spatola, un attento e qualificato "addetto ai lavori" identificasse emblematicamente il Gruppo 70 con la poesia tecnologica e visiva, non è proprio un caso. Difatti lo "zoccolo duro" del Gruppo è costituito dalle opere e dalle teorie dei due poeti fiorentini, Eugenio Miccini e il sottoscritto, che lo hanno ideato e fondato. Notizie scarne ma attendibili possono essere ricavate da un rarissimo catalogo di piccolo formato - una copia figurava recentemente in una libreria d'antiquariato accanto alle pubblicazioni futuriste - pubblicato in occasione della Prima rassegna internazionale del cinema sperimentale organizzata dal Gruppo a Firenze nel febbraio del 1967; ne cito i tratti salienti, conservandoli al "presente" di quella stagione.

Il Gruppo 70 nasce ufficialmente a Firenze nel maggio 1963, con un convegno internazionale sul tema Arte e comunicazione. II Gruppo 70 si richiama al futuro prossimo degli anni Settanta ed è composto di poeti, pittori e musicisti che attenti ai fenomeni delle odierne comunicazioni di massa sperimentano generi artistici di viva attualità: essi mirano a collocare le loro opere nella società tecnologica, di massa. Molti loro problemi teorici vertono su questo punto e infatti un altro convegno internazionale promosso dal Gruppo 70 ha avuto per tema Arte e tecnologia (Firenze, giugno l964). Luciano Anceschi, Eugenio Battisti, Bortolotto, Gillo Dorfles, Umberto Eco, Scalia, Roman Vlad, sono stati tra i partecipanti a questi convegni, nel cui quadro si sono svolti anche festival di poesia e di musica: Brown, Kagel, Cardew, Giuseppe Chiari, Sylvano Bussotti, Gelmetti, Rzewski, hanno qui realizzato i loro grafici musicali.

Tecnologica si è anche emblematicamente chiamata la prima mostra del Gruppo 70, avvenuta alla galleria Quadrante di Firenze nel dicembre del 1963: ad essa parteciparono i pittori Antonio Bueno, Silvio Loffredo e Alberto Moretti con pitture che in direzione comunicativa si ponevano già il problema di andare oltre il new dada e la pop art; i musicisti Sylvano Bussotti e Giuseppe Chiari con spartiti contaminati con la pittura e la letteratura; i poeti Eugenio Miccini e Lamberto Pignotti con grandi poesie visive appese alle pareti. D'altronde Miccini e Pignotti attuavano già da tempo un tipo di poesia tecnologica fondata sull'impiego di moduli e materiali tratti da linguaggi tecnologici (pubblicità, giornalismo, moda, burocrazia, commercio, ecc.) dirottati dal loro uso normale e riscattati esteticamente.
Il Gruppo 70, al cui nucleo primitivo si sono aggiunti i pittori Roberto Barni, Rino Di Coste, Franco Lastraioli, Roberto Malquori, Elio Marchegiani, Adolfo Natalini, Luciano Ori, Raffaele, Gianni Ruffi, Antonio Ximenes e i poeti Lucia Marcucci, Luciano Ori, Achille Bonito Oliva, Felice Piemontese, G. Battista Nazzaro, Antonio Russo, ha dato luogo anche a manifestazioni e opere di carattere interartistico, in cui la collaborazione di equipe risulta indispensabile.

È per esempio il caso di uno spettacolo intitolato Poesie e no curato da Miccini e Pignotti che ne sono anche gli attori con Lucia Marcucci e Bueno: in esso le dizioni di poesia tecnologica si alternano e si fondono con proiezioni di diapositive di poesia visiva, con affissioni di manifesti poetici della Marcucci e con altre manifestazioni extrapoetiche: film, registrazioni su nastro, letture di giornali, azioni pittoriche, audizioni di canzoni di largo consumo e di musica classica.
Altra forma di collaborazione si è avuta nelle esperienze di cinepoesia, fatte da Bueno, Marcucci, Miccini e Pignotti, che consistono in uno speciale montaggio di sequenze cinematografiche messe in rapporto con elementi verbali filmati.
Anche nella mostra intitolata Luna-Park, ideata e organizzata nel 1965, accanto a opere di singoli pittori come Pascali, Persico, Ruffi e il Gruppo Mid, e di singoli poeti (Miccini coi suoi soprammobili e Pignotti con le sue poesie auditive) si sono avuti esempi di collaborazione.
Si è trattato dell'opera Preistoria contemporanea composta di cinque giganteschi personaggi realizzati da Bueno, Moretti e Raffaele che con l'intervento dello spettatore danno luogo a serie ironiche di conversazioni sul genere dei fumetti (ogni personaggio cela infatti dietro di sé un gruppo di sei fumetti con testo di Pignotti); le combinazioni possibili sono 7.776: la musica è di Sylvano Bussotti.
Un antecedente in tal senso è stato Homo tecbnologicus di Bueno, Chiari e Pignotti, un'opera che sta tra il teatrino e il juke-box, ed esposta per la prima volta a un convegno del Gruppo 63 a Reggio Emilia nel 1964. Gruppo 70 e Gruppo 63 hanno avuto per altro manifestazioni e partecipanti in comune: tipico il caso di Umberto Eco che scherzosamente asseriva di appartenere al Gruppo 133....
Convergenze si sono avute anche fra il Gruppo 70 e Fluxus: particolarmente da segnalare in tal senso il Terzo festival del Gruppo 70 avvenuto a Firenze nel giugno 1965 in cui Bussotti, Chiari e Charlotte Moorman hanno suonato Cage, Chiari, Ichiyanagi, Paik, Bussorti, Vostell e altri autori.

(Già in Poesia totale 1897-1997: Dal colpo di dadi alla poesia visuale, a cura di Enrico Mascelloni e Sarenco, catalogo della mostra al Palazzo della Ragione di Mantova, vol. I, pp. 37-38. Adriano Parise Editore, Verona 1998)