Lamberto Pignotti

Lamberto Pignotti

LA POESIA VISIVA di Lamberto Pignotti, in Civiltà delle macchine, anno XIII n. 6, novembre-dicembre 1965.

La poesia in Italia è di casa ma non è mai stata popolare. Nonostante che durante vari secoli più di un poeta, per la sua levatura internazionale, si sia collocato fra le "merci di esportazione", l'attività di chi scrive in versi non gode fra noi eccessiva stima. Almeno in parte il fenomeno è forse da attribuirsi alla superproduzione del prodotto, e più ancora alla sua potenziale offerta: non è poi tanto paradossale quel luogo comune che ravvisa in ogni italiano un poeta. Ma una ragione ancor più sottile va senz'altro ricercata nel fatto che la poesia, un po' per colpa dei professori di "belle lettere", un po' per colpa di qualche poeta del passato (remoto o prossimo), viene di solito associata a qualcosa che non ha niente a che vedere con la vita di tutti i giorni e che di conseguenza non merita di essere presa in considerazione. Ciò vale a maggior ragione per la produzione degli autori viventi, i quali non possono neanche avvantaggiarsi di quella fetta di mito che la morte sembra talvolta procacciare a qualche poeta: tipici a tal riguardo gli esempi di Garcia Lorca e di Dylan Thomas, le cui premature scomparse paiono aver solleticato i favori del pubblico nei riguardi dei loro versi.

È in questo quadro che si inserisce il discorso dell'avanguardia poetica: fin dal suo nascere, e specialmente in quel ventennio del nostro secolo che va all'incirca dal 1910 al 1930, ma ancor più concretamente in questi ultimi anni, essa ha tentato di infrangere un tale schema mentale. E ciò sia direttamente con testi insoliti, sia indirettamente con una diversa impostazione dei problemi culturali. In altre parole l'avanguardia si è posta, oltre che il tradizionale problema della creazione, quello più moderno del rapporto col pubblico. Famoso ed emblematico in tal senso resta ormai lo slogan: "Èpater le bourgeois!" Ad ogni modo lo "scandalizzare il borghese" non esaurisce di per sé la questione del rapporto creazione-fruizione. Anche la poesia è un prodotto che solo raramente passa "dalla fabbrica al consumatore".

Di qui il problema delle avanguardie attuali: visto che anche il colpo a sensazione, il pugno nell'occhio, la ricerca dell'inconsueto, oltre che costituire un evento a limitato raggio d'azione, alla lunga genera sazietà e indifferenza proprio in quel pubblico che si voleva scuotere, bisogna sperimentare nuovi tipi di poesia e insieme tendere a nuovi rapporti di comunicazione. E proprio qui risiede forse la differenza fra le avanguardie tradizionalmente intese e quelle odierne: più attente a èpater le bourgeois le prime, più interessate alla teoria della comunicazione le seconde.
Non è un caso che gli scritti teorici e critici dell'avanguardia d'oggi abbiano bandito dal proprio vocabolario "parole in libertà", "nonsensi", "cadaveri squisiti", e simili, per accogliere invece espressioni meno pittoresche ma più attendibili come "obsolescenza", "entropia", "neg-entropia", "secondo principio della termodinamica", "bit", (o "segnale binario"), "rumore", "ridondanza", "codificazione", "decodificazione", ecc.

Ovviamente l'interesse per la teoria della comunicazione, nell'ambito della poesia di punta, non è volto al momento teoretico e scientifico della teoria ma si fonde a motivi di ordine in senso lato sociologico. Infatti l'altro polo delle ricerche saggistiche dell'avanguardia odierna lo possiamo situare in quella vasta problematica che ha ad oggetto la società di massa e i suoi mezzi di comunicazione, come la radio-televisione, il cinema, la stampa a larga diffusione, la pubblicità e così via.
A che cosa mirano l'interesse per la teoria della comunicazione e l'attenzione ai problemi della società di massa? In sostanza essi mirano ancora una volta a dar ragione e a tradurre in termini concreti il famoso apologo di Maometto e della montagna: se il pubblico non cerca la poesia, la poesia deve cercare il pubblico.

Al limite di questa semplice constatazione ci si è accorti che anche la poesia può diventare un mezzo di comunicazione di massa. Anzi, una parte della produzione poetica odierna è già, potenzialmente, un mezzo di comunicazione di massa. Come parallelo si potrebbe pensare a uno slogan pubblicitario coniato ma non ancora immesso in circolazione. In base a questo criterio è stata avanzata l'ipotesi che se certa poesia venisse per esempio trasmessa (come i messaggi pubblicitari) dagli altoparlanti degli stadi negli intervalli delle partite di calcio, o inserita nei caroselli televisivi, essa potrebbe gradatamente interessare un pubblico di massa.
Altre proposte in questa direzione sono state fatte per far si che la poesia trovi ospitalità sulle scatole di fiammiferi, sui pacchetti di sigarette, sulla carta da involgere, sugli affissi murali e perfino su giganteschi pannelli da disseminare lungo le autostrade. Ma in questi casi le proposte, per ora solo teoretiche dell'avanguardia, riguardano più specificamente la poesia visiva, quella poesia che da qualche anno sta interessando un pubblico via via più numeroso, ma non ancora di massa.

Si può dare una definizione della poesia visiva? In linea di massima si può affermare che essa è una forma di espressione che sperimenta a vari livelli dei rapporti fra parole e immagini figurali, perseguendo finalità e fondendo risultati in un contesto unico. Almeno da un punto di vista teorico essa rappresenta un'estensione delle possibilità della poesia, che istituzionalmente si affida solo al materiale verbale e alle sue proprietà combinatorie, significative e comunicative (cioè: sintattiche, semantiche, e pragmatiche), poiché si pone anche dei problemi che fino ad oggi sono stati affrontati dalle arti visive e specialmente dalla pittura. Tuttavia la poesia visiva non è ne una pittura con le parole, ne una poesia con le figure. In altri termini (e quando essa sia veramente riuscita) le parole non devono fare da commento a delle autosufficienti immagini visive, ne queste ultime devono risultare l'illustrazione di un testo che basta a se stesso. La poesia visiva per essere tale, pretende un effettivo rapporto, una vera interazione, fra parole e immagini visive in un unico contesto, (che in genere assume l'aspetto del collage e più raramente si affida a elementi dipinti o disegnati), e non la loro semplice convivenza.

Le componenti verbali e quelle visive non dovrebbero essere proposte ne dovrebbero poter essere fruite separatamente, a meno di fraintendere o voler fraintendere il senso di una tale esperienza: in altri campi un equivoco del genere si avrebbe in chi assistesse a un film per ascoltarne solo la colonna sonora, o in chi stesse a sentire il Barbiere di Siviglia per sapere come va a finire. Schizzata sommariamente una specie di carta d'identità della poesia visiva, bisognerà accompagnarla con qualche cenno storico, con qualche particolare, con qualche nome. Intanto bisogna dire che questo genere di poesia, affacciatosi anche con una certa prepotenza come argomento del giorno nell'ultimo scorcio del 64 (oltre che un oggetto di dibattiti e di esposizioni di avanguardia, la poesia visiva ha costituito un argomento appetitoso per i grossi quotidiani, per i rotocalchi e per le riviste che ne hanno talora riportato serie di riproduzioni), pur costituendo innegabilmente un'operazione di prima linea, ha non pochi precedenti che, opportunamente allineati e approfonditi da qualche storico della letteratura, potrebbero addirittura rappresentare gli anelli di una vera e propria tradizione. Fra le poesie in forma di pavone o i "carmina figurata" degli alessandrini e la poesia emblematica del seicento si potrebbero assai agevolmente reperire degli esemplari da riallacciare all'esperienza di cui stiamo discorrendo.

Si potrebbe anche accennare al Còup de dés di Mallarmé e al Phantasus di Arno Holz. Ma solo con le Parole in libertà di Marinetti, con i Calligrammes di Apollinaire e con le i-Gedichte di Schwitters (siamo all'incirca fra il 1914 e il 1920) si può cominciare a parlare di poesia visiva nel senso che ci interessa. Ricerche in tal senso sono state anche compiute da Govoni, Cangiullo, Soffici ed altri futuristi in Italia; da Francis Picabia, Tristan Tzara, Marcel Duchamp, Andre Breton ed altri, in genere dadaisti o surrealisti, all'estero. Tale genere di sperimentazione va però sempre più spegnendosi durante gli Anni Trenta per riprendere vigore sul finire degli Anni Cinquanta e specialmente in questi Anni Sessanta. Fra gli stranieri, che preferiscono parlare oggi di "poesia concreta", accenneremo qui alle attuali sperimentazioni visive del gruppo brasiliano di Noigandres comprendente i poeti Décio Pignatari, Augusto e Haroldo de Campos, Ronaldo Azaredo e José Lino Grùnewaid, ai poeti svizzeri Eugen Gomringer e Markus Kutter, a quelli tedeschi che fanno capo al teorico Max Bense, a Diter Rot, Heinz Gappmayr, Franz Mon ed altri. Delle sperimentazioni italiane in atto ci occuperemo più a lungo e direttamente nel corso del presente scritto.

Intanto si può però accennare alla diversa poetica, alla diversa metodologia, che contraddistingue la produzione poetica italiana di questo tipo da quella che si fa oltralpe; e ciò dando per scontato che la rilevazione avrà i vizi di tutte le rilevazioni di carattere generale: ogni accezione abbisognerebbe sempre di un discorso a sé. In linea di massima si può asserire che le esperienze visive straniere di questi ultimi anni si rivolgono, contrariamente a quelle italiane, più alla poesia grafica che a quella visiva.
Non sempre la differenza fra le due aree espressive è tuttavia netta e univoca. Abbiamo detto che alla base della poesia visiva c'è sempre un rapporto fra parola e immaginale figurale; nella poesia grafica invece il poeta tende piuttosto a rendere maggiormente visivo il materiale verbale con opportuni accorgimenti tipografici, dattilografici o con scritte a mano o incollate. Tale materiale può di volta in volta essere ingrandito, rimpicciolito, dislocato in punti appositamente scelti della pagina o del quadro (perché la poesia grafica, come quella visiva, è studiata anche per essere appesa a una parete), rigorosamente sistemato in schemi geometrici o simmetrici, accatastato alla rinfusa ed asimmetricamente, spezzato, deformato, accentuato da sottolineature, corsivi o diversità di caratteri tipografici, e così via.

Il rapporto parola-immagine figurale della poesia visiva viene sostituito, nella poesia grafica, dalla parola che si fa immagine figurale. Ritornando alla poesia visiva vera e propria, abbiamo detto che ad essa si rivolgono gli interessi prevalenti delle attuali sperimentazioni di punta in Italia. Da qualche anno, ma specie nel '64 e nel '65, si sono andate infittendo da noi le mostre antologiche di questa poesia "da appendere al muro": fra le altre ne ricordiamo quelle alla libreria Ferro di cavallo e alla galleria Arco d'Alibert a Roma, quelle alla galleria Quadrante e alla libreria Feltrinelli a Firenze; una mostra è stata tenuta al Teatro Comunale di Reggio Emilia durante il secondo convegno del Gruppo '63, un'altra alla Galleria Blu di Milano, un'altra ancora alla libreria Guida di Napoli.
Di recente è stata anche sperimentata, con interesse da parte del pubblico, una nuova forma di spettacolo che ha ad oggetto la poesia visiva: durante il terzo festival del Gruppo 70 sono state infatti proiettate, alla galleria Numero di Firenze, decine di diapositive di tali esperienze di autori diversi. Un primo "censimento dei poeti visivi" ha fatto registrare quindici nomi, che sono andati a costituire anche una Antologia della poesia visiva (prima del genere in Italia e forse nel mondo) pubblicata presso l'editore oggi più stravagante sia in fatto di testi che di sperimentazioni grafiche: Enrico Riccardo Sampietro di Bologna.

I nomi dei poeti italiani a tutt'oggi apparsi in mostre collettive e inclusi nell'antologia nominata sono quelli di Nanni Balestrini, Achille Bonito Oliva, Danilo Giorgi, Alfredo Giuliani, Emilio Isgrò, Luca (Luigi Castellano), Lucia Marcucci, Steliomaria Martini, Eugenio Miccini, Luciano Ori, Lamberto Pignotti, Antonio Porta, Adriano Spatola, Luigi Tola, Guido Ziveri. Fra i poeti elencati ve ne sono alcuni che non sperimentano mai in proprio la parte visiva del testo, preferendo affidarsi per ciò ad un pittore: è il caso per esempio di Giuliani (che ha poesie visive in collaborazione coi pittori Gastone Novelli, Toti Scialoja e Franco Nonnis), Porta (che ha come collaboratore Romano Ragazzi) e Spatola (che elabora i suoi "manifesti" col pittore Giuseppe Landini): altri poeti, pur facendo esperienze di poesia visiva in proprio, affidano talvolta i propri testi anche ad alcuni pittori: è il caso di Miccini e Pignotti che hanno opere visive in collaborazione con Antonio Bueno e Roberto Malquori. Il caso della collaborazione fra poeta e pittore ha fatto tuttavia nascere in taluni il dubbio se ciò dia veramente luogo a forme di poesia visiva, o non piuttosto ancora a forme di poesia illustrata, sia pure all'interno dello stesso contesto. Quel che si può dire, e lo abbiamo già affermato, è che il pericolo della "poesia illustrata" esiste anche per il poeta che sperimenta da solo, oltre all'aspetto verbale, l'aspetto figurale. Ovviamente l'insidia aumenta nel caso della collaborazione.

Abbiamo sopra notato che alla radice dell'odierna poesia visiva esiste quasi una specie di tradizione, costituita da tutte quelle sperimentazioni che durante vari secoli hanno cercato di superare dall'interno della poesia la barriera della parola e di dare al verso un'evidenza anche pittorica. Ma un'altra radice dell'esperienza in questione potrebbe essere agevolmente reperita in quello che potremmo definire il tradizionale ricercarsi fra poesia e pittura. Detto questo è scusabile per esempio trovare in alcune poesie visive (e più facilmente in quelle che sono frutto della collaborazione con pittori) tracce, suggestioni riprese in chiave odierna che possono andare dal codice miniato al volume illustrato.
Ma come mai, si potrà obbiettare (visto che i versi hanno per secoli teso ad essere evi-denti anche in senso figurativo, e visto che poesia e pittura si sono spesso cercate), il fenomeno della poesia visiva è "esploso" solo oggi?. E perché essa può trovare ospitalità perfino in quotidiani e rotocalchi?
Almeno in parte la risposta risiede già nelle premesse da cui parte l'attuale avanguardia: un discorso artistico nuovo può non essere di necessità un discorso da iniziati. In sostanza si può fare della poesia nuova attingendo non a moduli e materiali linguistici istituzionalmente pertinenti all'universo di discorso poetico (vale a dire: la poesia è una cosa che nasce dalla poesia, fatta da gente che usa le regole poetiche per altra gente che conosce tali regole), ma utilizzando moduli e materiali linguistici ampiamente usati da una data comunità linguistica. Gli odierni linguaggi della comunicazione di massa, come quello giornalistico, pubblicitario, burocratico, commerciale e molti altri, vengono appunto largamente impiegati ed elaborati in alcune sperimentazioni poetiche della nuova avanguardia, anche se in questo caso si preferisce parlare, con calzanti espressioni, di superavanguardia o di poesia tecnologica. A tal proposito è stato osservato che si tratta ancora una volta di passare dal latino al volgare: d'altronde il problema del rinnovamento della struttura e della comunicazione poetica rientra in un più vasto e generale problema culturale.

La poesia visiva è per l'appunto l'espressione più evidente della superavanguardia, della poesia tecnologica. Non solo essa attinge ai mass-media (agli slogan più logorati dalla ripetizione, alle figurazioni più familiari all'occhio del consumatore di rotocalchi) ma potrebbe sfruttare gli stessi canali per contestarne il tipo di informazione. La poesia visiva che ? lo abbiamo detto altre volte ? potrebbe essere "contrabbandata" ad esempio sui manifesti stradali o sulle scatole di fiammiferi, tende infatti ad appropriarsi dei moduli e dei materiali dei mass-media ma per capovolgerne (quasi sempre in chiave ironica) l'informazione utilitaria e di solito coercitiva in informazione non gratuitamente estetica. Tutto qui il segreto della relativa fortuna (no: non si tratta di un boom!) della poesia visiva: è un fenomeno che nella società tecnologica e nella civiltà dell'immagine appare a prima vista quasi familiare. Eppure ironizza, contesta, critica e tende a capovolgere gli aspetti più negativi proprio della società tecnologica e della civiltà dell'immagine: « C'è il rischio », si domandava tempo fa Gillo Dorfles, « che la nostra, anziché passare ai posteri come una "civiltà dell'immagine", sia destinata a passare come "immagine di una inciviltà"? Ossia che l'abuso di immagini finisca per ritorcersi contro chi, di questo abuso ha creduto di poter menare vanto con troppa superficialità? » Si può dire in un certo senso che la poesia visiva raffigura proprio la migliore ritorsione contro l'abuso delle immagini; una ritorsione per di più operata nel rispetto della legge del contrappasso: quel che è fatto è reso. La poesia visiva, è stato argutamente detto, rappresenta in ultima analisi una merce respinta al mittente: dalla comunicazione del fumetto, della pubblicità e del rotocalco nasce la poesia contro-fumetto, la poesia contro-pubblicità, la poesia contro-rotocalco.

Certo è che la poesia visiva (e la poesia in genere) potrebbe diventare una concreta arma di contestazione se dal suo essere "potenzialmente di massa" potesse trasformarsi in un fenomeno "effettivamente di massa" la sua carica risulterebbe infinitamente accresciuta se essa potesse pervenire a sempre nuovi pubblici. Ma a questi bisognerebbe far trovare la poesia nei luoghi e nei momenti più impensati. D'altronde si tratta di un problema che riguarda tutta l'arte moderna: la pittura non si sente più a suo agio nei musei e nelle gallerie, la musica evita spesso la sala del concerto, la poesia tende a sottrarsi al libro. « Una delle costanti più vistose della poesia moderna è la sua "fuga" dal libro », ha scritto Nanni Balestrini: « nella sua forma attuale questo oggetto è divenuto ormai inospitale e limitante per la poesia, e soltanto per consuetudine viene ancora usato dai poeti. » E parallelamente Dorfles: « Cosa rappresenta ormai il libro stampato? Fino a quando questo curioso oggetto rettangolare e pesante gremito di piccoli caratteri grigi e monotoni continuerà a "informare" l'uomo attorno ai grandi e piccoli problemi della vita? Non mi sembra assurdo ne improbabile che già oggi è la TV, sono le scritte pubblicitarie, i cartelloni, il cinema, e in una parola, la ubiquitaria presenza d'immagini artificiali (o rese tali dalla loro riproduzione e trasmissione meccanica) a popolare l'universo urbano, a informare su ogni settore dell'attività umana, a sostituirsi alla parola scritta per trasformare sempre di più la nostra civiltà in un'epoca dominata dal culto e dal mito delle immagini. »

La battaglia che la superavanguardia sta oggi conducendo verte proprio su questo punto: fare uscire la poesia da quel "nascondiglio" che ormai rappresenta il libro per collocarla al livello dei mezzi di comunicazione di massa. Può darsi che l'operazione celi anche un pericolo: non ci sono già le canzonette come prodotto estetico di massa?, è stato obbiettato. Tuttavia a noi pare che l'obbiezione metta semmai giustamente l'accento su certi aspetti negativi della quantizzazione, non sulla quantizzazione in se medesima: una canzonetta, un fumetto o un sesterno ad esempio non sono prodotti di per se stessi spregevoli, anche se di larga circolazione. In fin dei conti tutto dipende dalla novità e dalla qualità del messaggio, sia esso fumettistico o poetico. Solo qualche incallito selezionatore dei generi artistici oserebbe collocare oggi le strisce di Differi o di Schuss fra i prodotti dozzinali: la circolazione e il consumo di massa di un prodotto non equivalgono al suo intrinseco declassamento. D'altronde la super avanguardia non propone di per sé che il pubblico faccia delle indigestioni di poesia tecnologica e di poesia visiva, ma si limita a far si che il "non addetto ai lavori" possa avere più spesso l'occasione di imbattersi in tali generi di poesia: se non altro, per abitudine, esso imparerà gradatamente a discernere il meglio dal meno peggio, il prodotto originale da quello contraffatto. Per far questo infatti non occorre alcun "esame finestra" ma un continuo e grande numero di prove e di confronti.
Lamberto Pignotti

 

LAMBERTO PIGNOTTI
"Collage su cartone"
Cm. 70x50, 1964

LUCIANO ORI
"Ouverture - opera k.770"
Collage plastificato su masonite 
Cm. 70 x 50, 1977

LAMBERTO PIGNOTTI
"Gli indifferenti in ogni casa"
Collage su cartone
Cm. 50x70, 1964

 

LUCIANO ORI
"Narrazione"
Collage su legno
Cm. 100x70, 1972

LUCIA MARCUCCI
"Senza titolo", Poesia visiva, 2007

LUCIANO ORI
Per BAU n. 3 “M41. Volo al mattino”, 
spartito di Musica Visiva.

 

 LUCIA MARCUCCI, 1966, Sotto accusa, collage, cm 60x50

 

LUCIA MARCUCCI, Il benessere provvisorio, 1965, collage, cm 60x50 

 

LUCIA MARCUCCI, L'appetito vien mangiando, 1963, collage, cm. 42x21

 

EUGENIO MICCINI, 1963, Hommage a Cage, mixed su carta, cm- 29,5x21

 

MICHELE PERFETTI, Sino in fondo, 1966, collage su cartone, cm. 70x50

 

KETTY LA ROCCA, In principio erat, 1970, collage e intervento su foto, cm. 42x26,5

 

LAMBERTO PIGNOTTI, Che c'è per cena tesoro?, 1968, collage e mixed su cartone, cm. 52x38

 

ROBERTO MALQUORI, 1968, Da Martin Luther King, intervento su foto.