Adriano Spatola

Adriano Spatola

ARTE TOTALE DELLA PAROLA di Adriano Spatola, in Spazio Suono - Parola fra spazio e suono, a cura di Ubaldo Giacomucci, Arrigo Lora-Totino, Lamberto Pignotti, e Adriano Spatola, catalogo della mostra a Palazzo Paolina, Viareggio (LU), 1984.

 

Esiste ormai una teoria generale della scrittura visuale, così come esiste una teoria generale della poesia sonora. Dico "teoria generale" alludendo a una ipotesi totale di arte della parola. Questa ipotesi non è una semplificazione, ma un'analisi globale del problema: dal graffito alla pubblicità televisiva, dall'urlo alla musica elettronica troviamo continuità mentale, pur nella diversità profonda dei comportamenti e delle tecniche.
L'arte della parola, dall'originario balbettìo all'odierna frantumazione, ha seguito un suo itinerario tortuoso. Anche la forma grafica della parola ha avuto periodi di splendore ed epoche di imbarbarimento e di opacità. In linea di massima, potremmo far coincidere i primi con l'esaltazione del significante, e le seconde con il predominio del significato bruto. Da un lato la calligrafia islamica intesa come ornamento di nomi allusivi alla divinità, dall'altro il comunicato-stampa conciso e ridotto a pochi dati essenziali. Tuttavia direi che questa è una contrapposizione manichea e ingiustificata: dopo gli studi di McLuhan ogni aspetto della comunicazione ha non soltanto una sua motivazione ma anche un suo fascino coinvolgente. Lo stesso impegno culturologico di McLuhan, ad esempio, sarebbe impensabile senza un progetto di media totali. La tradizione della parola parlata o scritta lascia il posto alla parola visiva o sonora, acquistando così un nuovo ruolo nel tempo e nello spazio.

 

Altri hanno anche studiato un fenomeno che si potrebbe definire di "risacralizzazione" — all'interno dei media più popolari — di certi significanti ormai perduti. Ed è evidente che la poesia visuale e sonora attua, nel suo ambito specifico, un'operazione non dissimile. Il recupero della voce umana in un uso libero da regole di "bel canto" o comunque di melodia è indubbiamente una risacralizzazione dell'urlo primordiale, o almeno della litania primitiva, come hanno dimostrato i Lettristi.
Allo stesso modo molta poesia visuale usa tecniche gestuali la cui violenza dissacratoria non fa che risacralizzare un messaggio di tipo sciamanico, che ha motivazioni legate al rifiuto di una logica imposta attraverso la ripetizione "da fuori". Perfino l'ordine apparente della poesia concreta non ha andamenti obbligati ma tende a evidenziare — insieme alla struttura dei suoi testi — il carattere organico della progressiva "sostituzione di senso" delle parole.
Vediamo parole sulla T-Shirt come vediamo parole sull'autotreno o sull'autostrada. La collocazione modifica la parola. In Germania ho visto un camion con la scritta "Nobel - Dynamiten": si tratta dello stesso Nobel del Premio. Nell'universo artistico, la sostituzione della parola al segno figurativo o astratto ha provocato uno shock di questo genere. Si trattava di una relazione "ovvia" tra significante e significato che andava riscoperta e rivalutata. Ma questa ovvietà è anche un modello di distorsione spaziale e temporale per i nostri rapporti con l'immagine.

I media di massa contemporanei non sono gli stessi di vent'anni fa, e naturalmente non erano concepibili all'inizio del nostro secolo. Un pittore cubista incorporava frammenti di giornale nel suo quadro ad olio perché la grafica del giornale non era riproducibile ad olio, ma soprattutto perché la grafica del giornale aveva una sua esistenza separata da quella della pittura, una esistenza "lontana" dovuta alla quotidianità. Il pittore cubista si "appropriava" del pezzo di carta stampata con un gesto da selvaggio, o meglio da bricoleur (1) per possederne l'anima gutenberghiana nella sua interezza e immediatezza.
Su questo aspetto "magico" della questione i poeti visuali sono di solito scettici. A parte il poème-objet surrealista, sono pochissimi e quasi sconosciuti gli esempi di dichiarata appropriazione della parola in sé. Questo, voglio dire, nella teoria e nelle poetiche, non nella pratica. Appropriazione è anche, in questo campo, quella che riguarda uno slogan
pubblicitario, un marchio, una fotografia ecc. La tecnica dell'appropriazione e dell'uso di materiale visivo preesistente non si pone limitazioni. A volte le immagini "rubate" sono come i rumori introdotti in un testo sonoro per disturbare chi ascolta, a volte invece si vuole una identità, o almeno una corrispondenza, tra l'elemento oggettivo e la dichiarazione soggettiva.
Infatti, e contrariamente all'apparenza, molta della poesia visuale e sonora nasce da un gesto soggettivo ed individuale a livello non tanto di mass media quanto di ricerca di sé. Non è una interpretazione "romantica" o "intimistica" del fenomeno, ma una indicazione verso l'enorme sproporzione esistente tra il materialismo tecnologico della comunicazione e il momento, la volizione del gioco sul segno-parola.

"Il poeta, proprio perché fallito come filosofo, non poteva non diventare manipolatore di segni", scrive Luigi Ballerini (2). Affermazione, anche questa, fondamentale nella sua "ovvietà": tanto che potrebbe coinvolgere, su questo argomento, perfino Goethe (si veda un abbastanta recente numero del Verri). Ma intanto l'educazione alla memoria e consultazione dell'avanguardia storica mi fa spostare il discorso su una frase del dadaista Otto Flake, che scrive: "È una banalità filosofica che la negazione rappresenti una forma di presa di posizione, un sì mascherato" (3). Questo è forse un modo di chiudere il cerchio proprio sull'idea che una poesia totale, pur nella negazione di certi valori comunicativi controllati dall'esterno, può essere o dichiararsi soprattutto abilità artigianale di rimettere in questione le parole—e attraverso le parole—una filosofia del mondo.

Filosofia del mondo, oppure filosofia di una cultura che pratica evidentemente e ambiguamente sia la scrittura che l'immagine, e che, a volte, esclude la scrittura in nome della presenza dell'immagine: le parole, anche quelle perdute, ne sarebbero forse allora una mitica coscienza.
Ha scritto Derrida che la «inflazione del segno "linguaggio" è la inflazione del segno stesso, l'inflazione assoluta» (4). D'altra parte per i poeti visuali o sonori è proprio questa crisi a motivare l'atteggiamento creativo, o comunque la disposizione intellettuale verso un accadimento comunicativo (che una volta si chiamava "messaggio). La nozione di messaggio non va respinta, poiché integra e aiuta un certo numero di comportamenti linguistici tipici della poesia visuale o sonora senza tuttavia imporre schemi fissi.

Comunque, anche il messaggio costituisce un segno usurato, più adatto a essere interpretato che a interpretare; molti dei "lettori" di poesia visuale si rendono spesso complici di un testo che è citazione ripetuta e infinita, in quanto il testo riprende e sviluppa il tema della negazione.
In queste osservazioni non esiste argomento di giudizio: è un invito a esaminare un groviglio incontrollato di produzioni linguistiche che sfuggono per ora a un sistema onnicomprensivo "chiuso"; inoltre credo sia difficile affidarsi a un tale sistema chiuso se non si ha una visione semplicistica e strumentale del linguaggio.
È per questo forse che recentemente è cresciuta l'indistinzione tra la poesia sonora e la poesia visuale. Non c'è oggi classificazione di tecniche poetiche senza ricorso a terminologie comuni. L'ambito della scrittura è, nella sua storicità, in dispersione, senza peraltro accettare una teoria distruttiva. Si pensi al termine "strumentazione" in musica..

Tutto ciò porta a smentire qualsiasi tipo di misticismo estetico, ma non la fiducia nel potere evocativo di alcune nozioni: ad esempio, l'idea che il fruitore sia in qualche modo sempre garanzia del "valore" del messaggio. Al contrario, può accadare che il fraintendimento sia notevole, fino a contribuire alla disorganizzazione del messaggio stesso (magari con risultati tutt'altro che privi d'interesse).
Se la poesia sonora diventa facilmente "spettacolo", e qui riprendiamo l'accenno al termine "strumentazione", la poesia visuale tende in fondo allo stesso obiettivo: non spettacolo di gesti, di note o di rumori, ma spettacolo bloccato in un istante del suo percorso grafico o scenografico. Per concludere, gli sviluppi contemporanei della poesia visuale e sonora sono segnali (in varia combinazione) di una decisione diffusa di chiarire, su basi non soltanto statistiche, il problema della supposta fine del messaggio. Con un recupero della qualità emotiva che mi pare fondamentale.
Adriano Spatola


(1) Non ricordo se Lévi-Strauss ha accennato a questo aspetto del problema, comunque rimando genericamente al suo Il pensiero selvaggio, II Saggiatore, Milano, 1964.
(2) L. Ballerini, La piramide capovolta, Marsilio, 1975
(3) L'Avventura Dada, a cura du G. Hugnet, Mondadorì, 1972
(4) J. Derrida, Della grammatologia, Jaca Book, 1969.